Una nuova cultura (e meno tasse) per rilanciare il lavoro

  • 18/07/2013
  • Per imitare la Germania, bisogna liberarsi anche dai lacci ideologici, che invece resistono nel nostro Parlamento. «È indispensabile uno shock fiscale!». Il segretario della Cisl Raffaele Bonanni non ha dubbi e lo ha detto a Enrico Letta: la crisi dell'industria, il calo della produzione e l'incremento della disoccupazione vanno aggrediti con una svolta nella politica fiscale. Il governo ha in programma di intervenire sul cuneo fiscale, per alleggerire il costo del lavoro per le imprese e appesantire le buste dei dipendenti, incrementando così i consumi. Ma è chiaro che questo non basta. Approfittando della 'pausa sigaretta' tra una votazione e l'altra, abbiamo chiesto a due parlamentari, uno di centro sinistra, l'altro di centrodestra, con una lunga carriera di imprenditori alle spalle, quali sono le riforme immediate che applicherebbero al fisco per favorire la ripresa. Giacomo Portas, ex dirigente di una grande azienda di servizi, eletto nel Pd, leader del movimento piemontese 'I Moderati', non ha dubbi: «Innanzitutto bisognerebbe diversificare il carico fiscale per le aziende che fanno margine solo in Italia, da quelle che affiancano all'attività nel nostro Paese succursali in realtà a basso costo del lavoro. Se incentiviamo le prime, con riduzioni fiscali, possiamo dare un impulso consistente all'occupazione, a partire da quella giovanile. Se invece continuiamo come oggi, è evidente che il differenziale del costo del lavoro continuerà a spingere per una delocalizzazione a danno dell'occupazione». Auspicio dai risvolti complessi, ma dall'evidente appeal, a cui si accompagna la richiesta che tutti i presidenti di Confindustria e centinaia di imprenditori stanno rivolgendo da anni a tutti i governi: riformare l'Irap. «Uno dei parametri di questa imposta è il numero dei dipendenti: più ne hai, più paghi. In un tessuto composto al 98% da piccole e medie industrie è evidente che l'Irap disincentivi in maniera determinante nuove assunzioni». Con la Legge di Stabilità 2014, il governo Monti qualcosa ha fatto: per un'impresa del Centro Nord la diminuzione dell'Irap per ogni dipendente assunto a tempo indeterminato con più di 35 anni è oggi di 241 euro. Se donna o giovane con meno di 35 anni, sempre assunti con un contratto full time, il vantaggio sale a 382 euro. Il governo Letta ha intenzione di proseguire su questa strada, ma attraverso aggiustamenti contingenti. In realtà ' e questo non è solo il parere di Portas ' l'intera struttura dell'Irap, introdotta dall'ex ministro delle Finanze Visco, andrebbe riformulata, come peraltro suggerito dalla Ue. Il problema, però, è sempre quello: dove trovare i soldi per coprire il minor gettito' Guido Crosetto, già sottosegretario alla Difesa per il Pdl, oggi presidente di 'Fratelli d'Italia', imprenditore del cuneese, affronta il tema con una provocazione. «In Italia nella sinistra e nei sindacati è quasi unanime il riferimento alla tradizione del welfare tedesco e ai principi della socialdemocrazia nord europea. Ma vorrei vedere i sindacati italiani e il Pd fare proprie le riforme della 'Agenda 2010' che il governo del socialdemocratico Gerhard Schroeder approvò tra il 2003 e il 2005 e che hanno dato un impulso straordinario all'economia tedesca anche in piena crisi mondiale». Tra le tante, oltre alla flessibilità nella contrattazione sindacale, Crosetto ricorda anche il mini job, che qualcuno della sinistra nostrana bollò come uno scandalo. «È una forma contrattuale 'temporanea' che prevede il pagamento da parte dei datori di lavoro di 450 euro al mese, senza alcuna imposizione fiscale o previdenziale. Schroeder fece approvare la riforma per facilitare il lavoro estivo dei giovani. Ma oggi 7,5 milioni di dipendenti tedeschi, in larga parte immigrati, sono a mini job. Così il Pil della Germania corre' Ma chi proponesse il mini job tedesco in Italia verrebbe linciato. Abbiamo problemi economici, ma soprattutto lacci ideologici da sciogliere».

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