Lavoro, i tre tipi di start-up in Italia

  • 13/11/2013
  • Sempre più spesso sentiamo parlare di Start-up: il termine si riferisce all'avvio di un'impresa ed è sempre più utilizzato in un periodo in cui provare a mettersi in proprio sembra essere l'unica soluzione contro la crisi e la dilagante disoccupazione. Dare vita a una start-up non è certo impresa semplice: occorre partire da un'idea, poi individuare finanziatori, analizzare il mercato del settore e i rischi annessi. In Italia, il fenomeno start-up è stato analizzato dalla fondazione Mind The Bridge che ha raccolto i dati di 108 start-up e 254 imprenditori: ne sono usciti fuori tre tipi di start-up presenti nel nostro paese, ognuno con determinate caratteristiche.
    Il 20% delle start-up è definito techno startupper: ne fanno parte giovani imprenditori che hanno competenze tecniche ma poca esperienza lavorativa alle spalle. In questo caso i fondi vengono raccolti tra i fondatori dell'impresa e il capitale investito è modesto: si tratta per lo più di aziende che nascono per permettere ai fondatori di entrare nel mondo del lavoro.
    Il 50% delle start-up italiane fanno parte invece delle aziende nate dalla crisi: si tratta di imprese messe in piedi da ex impiegati con una importante esperienza lavorativa alle spalle ma scarsa attitudine imprenditoriale. È la tipologia di start-up più a rischio anche a causa di una scarsa capacità di raccolta fondi.
    L'ultimo profilo, invece, è definito start-up scalabile: i founder hanno un elevato livello di istruzione, solido background manageriale e capacità di attrarre ingenti capitali. Si tratta dell'unica tipologia di start-up che ha ampie possibilità di successo immediato.

    Scritto da Bruno De Santis.

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