Il Piemonte è la regione dove ci si integra meglio

  • 12/08/2013
  • La vita quotidiana
    Il vecchio Piemonte industriale, anche se con il fiato grosso per la crisi che imperversa da cinque anni, rimane - come era stato negli Anni Cinquanta e Sessanta con i flussi migratori dal mezzogiorno - un modello di integrazione forse non per i rifugiati appena arrivati, ma sicuramente per i migranti che sono occupati. Qui rumeni, sud americani, magrebini e cinesi vivono, lavorano, mettono radici con più successo rispetto a altrove.
    I dati sono del Cnel che ha elaborato, nell'annuale rapporto, una serie di indicatori per misurare l'integrazione non teorici, ma estremamente pratici e concreti che si articolano in due grandi categorie: l'inserimento occupazionale e l'inserimento sociale. E d'altronde è abbastanza ovvio che se le cose vanno bene nel lavoro vadano abbastanza bene in genere.

    Gli indici
    Gli indici valutano l'accesso al mercato immobiliare, il tasso di istruzione liceale, la stabilità del soggiorno, la naturalizzazione - cioè l'acquisizioni di cittadinanza per residenza legale e continuativa di almeno 10 anni - la competenza linguistica, il radicamento famigliare. E poi il lavoro, la tenuta dell'occupazione, la continuità del permesso di soggiorno per lavoro, il numero di stranieri titolari di impresa o partita Iva.
    Un mix che permette di fotografare come vive lo straniero nelle varie regioni, se è stabile, se i figli studiano, se ha potuto acquistare casa o ne ha trovata una confortevole in affitto, se ha portato qui la famiglia, se si è addirittura lanciato per diventare imprenditore.

    Torino va bene
    E anche la provincia di Torino va piuttosto bene se rapportata alle altre grandi aree metropolitane.
    È al trentottesimo posto sulle 103 province italiane ben prima di Roma che si colloca all'ottantresimo, di Napoli al novantesimo, ma anche di Milano che si ferma all'ottantasettesimo e persino di Bologna che non va oltre il settantunesimo.
    Ma quali sono le ragioni di questa performance positiva' Confessa Maurizio Maggi dell'Ires Piemonte: «Un po' mi sono stupito anch'io, ma i dati sono dati e quelli del Cnel sono estremamente oggettivi. Poi operò a riflettere bene lo stupore passa».
    E spiega: «Il Piemonte e Torino vivono un lascito della società industriale con le persone abituate a far rispettare i propri diritti. E sul lavoro anche il piemontese che magari storce il naso per il vicino di casa immigrato è più che disponibile a coinvolgere il compagno straniero se si tratta di fare una battaglia insieme. Non si percepisce emarginazione sui luoghi di lavoro».
    Una attenzione che si coglie anche in altri segnali. Racconta Maggi: «A Torino le grandi banche hanno aperto sportelli appositi per immigrati con personale a sua volta immigrato per sostenerli nelle attività economiche e nelle rimesse a casa. Un segnale importante che favorisce l'integrazione e che non credo casi analoghi in altre regioni».

    La storia
    Ma c'è una storia minuta di cronaca, raccontata nei giorni scorsi sulle pagine della «Stampa» dedicate ai quartieri, che per il ricercatore diventa una sorta di paradigma: «Un supermercato ha assunto un ragazzo marocchino che aiutava i clienti a imbustare la spesa e che prima vendeva per strada. Bello, molto bello. Non so dire dove altro sarebbe accaduto». Poi ci sono dati più strutturali: «In Piemonte ci verificano indici alti di partecipazione alla politica e al voto e di donne elette. Tutti segnali di civiltà che evidentemente si ripercuotono anche sull'atteggiamento rispetto agli stranieri».
    E Maggi sfata un luogo comune: «I piemontesi hanno di sè una immagine di chiusura. Sarà anche vero, ma evidentemente altrove è peggio e i processi di integrazione fatti qui - tolti alcuni esempi positivi come Trento - sono migliori che altrove.

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